Worldschooling: vita vita discimus

 

di Debora T. Stenta

La terminologia anglofona rende spesso i concetti più affascinanti. Di fatto il “worldschooling” è quello che tutte/i noi facciamo fin da quando siamo concepite/i, cioè divenire e apprendere ciò che serve vivendo nel mondo. Questo è ciò che generalmente si verifica e che viene accettato fino a quando chi si prende cura di noi decide che per continuare questo processo di s-viluppo della propria natura e della propria individualità c’è bisogno di essere inserite/i in un ambiente preposto intenzionalmente all’apprendimento e alla “socializzazione”.

Alcune delle caratteristiche e delle capacità proprie della natura e della cultura umana, come il parlare, il muoversi, il camminare, il nutrirsi via via in maniera sempre più autonoma, vengono normalmente apprese in maniera informale e spontanea, attraverso l’imitazione di chi ci sta attorno e in virtù del senso di appartenenza alla comunità in cui viviamo.
Rispetto ad altre caratteristiche e capacità si ritiene invece che ci sia bisogno di impartire degli insegnamenti specifici e che, senza un contesto appositamente studiato, non sia possibile apprenderle autonomamente o sia molto più complesso. Osservo questo riguardo la scrittura, la lettura, il far di conto e altri aspetti della vita che sono stati codificati come discipline di studio.

L’invito che ho ricevuto quando sono diventata madre è stato quello di considerare sulla base di quali valori desideravo continuare a s-vilupparmi come persona e contribuire all’esistenza della mia e di altre specie. Riflettere su quei valori mi ha portata attraverso una serie di scelte, e oggi che mia figlia ha 5 anni e mio figlio 16 mi rendo conto che la più naturale conseguenza di quelle scelte è il “worldschooling”. Che significa appunto mettermi e mettere le/i mie/i figlie/i in condizione di vivere e conoscere direttamente ciò che serve attingendo alla fonte stessa delle cose.

Invece che osservare su un testo le foto della pianta delle banane e leggere dove cresce e quali caratteristiche ha, noi possiamo metterci lì accanto, vedere quanto è grande, accorgerci che una foglia di banana è talmente grande da contenere il nostro corpo, che con una foglia di banana si possono fare tantissime cose, da un piatto x mangiare a un tetto, che si possono cuocere cibi dentro le foglie di banana, e trovare un fiore di banana al bordo della strada, sfogliare i petali per scoprire che contiene tantissimi “embrioni” di banana, e via via che si va verso il cuore diventa sempre più appiccicoso, sentirne l’odore e vedere i colori che cambiano petalo dopo petalo, trasportarlo durante la passeggiata come fa sempre mia figlia che raccoglie tanti fiori, ma poi abbandonarlo perché è troppo pesante, e poi scoprire che la pianta della banana muore dopo aver fruttificato una sola volta, e giocare a contare tutti i tipi di banane che riusciamo a riconoscere per poi scoprire che ce ne sono sempre molti di più di quelli che riusciamo a contare, e vedendo un “banano-ventilatore” venire a sapere che nella famiglia delle banane ci sono tantissime piante diverse di cui molte non producono nemmeno i frutti, sventolarci con una foglia di banana quando fa caldo e ripararci lì sotto quando piove, fare i sommelier di banane scambiandoci opinioni su quali sono quelle più dolci, più farinose, più buone, vedere che le banane pronte per essere mangiate non sono gialle come nei nostri supermercati ma sono quelle con la buccia quasi nera (scoprendo così come vengono raccolte, trasportate e conservate le banane che compriamo in Italia) e che esistono varietà di banane particolarmente adatte ad essere fritte, come i platani, e che alcuni sono tondi come zucche e altri lunghi come un braccio, e mangiarli fritti nell’olio di palma fritto e rifritto delle baracchine per strada (facendo così conoscenza col tema della deforestazione legata alla produzione di olio di palma e del colesterolo che mina la salute di questi popoli che mangiano tutto fritto), e toccando la pianta di banana sentire che è molle e piena d’acqua, e immaginarsi così di poter sopravvivere in caso di siccità bevendo dal tronco della banana, e meravigliarci di quante banane possono esserci su una pianta di banane, decine e decine, e ogni volta dire “questa ne ha di più dell’altra!!!”. E così VIA. E così è la nostra VIA.

banana

Stando nel mondo e lasciando che la conoscenza arrivi così, im-mediata, non preconfezionata, strettamente collegata a ciò di cui facciamo esperienza diretta, e aprendo tutte le porte che stanno oltre ogni porta senza contenere la voglia di approfondire o divagare, mi sembra che il processo di s-viluppo delle nostre personalità sia più vivo e ricco.

Viaggiando e vivendo nel mondo, la storia, la geografia, le scienze, la biologia, la geologia, la botanica, la chimica, l’antropologia, le arti, le lingue sono un tutt’uno interdisciplinare e multisensoriale che ci avvolge e non smette di stimolarci mai; non possiamo (e non vogliamo) chiudere il libro di testo, non c’è una campanella che interrompe un processo di apprendimento.

Le/i mie/i figlie/i “imparano” i paesi che visitano anche attraverso, ad es., i sapori dei frutti che non avevano mai assaggiato prima e, così facendo, succede una cosa molto più importante della “conoscenza” che accumulano: imparano sulla propria pelle che “frutta” è un concetto molto più ampio di quello che si introietta stando sempre in una sola parte del mondo. Che, su un livello più grande, significa capire che tutte le informazioni che vengono passate come assolute non lo sono. Che le stagioni non sono quattro, che le note non sono sette. Tutte cose, per noi, da disimparare. Imparano il senso critico. Imparano a chiedersi sempre da dove viene un’informazione e se è veritiera. Imparano che le cose sono “vere” e “false” a seconda della prospettiva da cui le guardi. Imparano che tutto è possibile e che se non lo è qui, può esserlo lì.

Viaggiando imparano anche ad essere leggere/i sulla terra, sia come impatto della loro persona, sia come atteggiamento mentale, sia materialmente: imparano che per vivere serve poca materia, uno zaino e qualche oggetto, e anche pochi soldi, se si viaggia in un certo modo. Imparano ad adattarsi alle situazioni più diverse, a rispettare usi e costumi che possono sembrare assurdi, a tenere pulito e aiutare quando siamo ospiti, ed essendo ospitate/i imparano ad essere ospitali. Incontrare persone che vivono in modi inimmaginabili lascia fiorire il loro essere sempre più libero da condizionamenti e pregiudizi. Imparano così che casa è ogni luogo, che la vera casa è dentro di sé ed è lì che è importante sentirsi a proprio agio, prima che in qualunque posto.

Tutte queste cose le imparano non perché glielo dice qualcuna/o, ma perché ci si trovano di fronte.
Questi per me sono valori molto importanti; che ci piaccia o no, ogni angolo di mondo, anche il più sperduto villaggio sull’Himalaya, è raggiungibile in poche ore da ogni luogo; siamo tutte/i parte della comunità-mondo, e apprendere in “worldschooling” per me significa onorare questa opportunità offerta dal tempo in cui viviamo e godere appieno della vita.

2 pensieri su “Worldschooling: vita vita discimus

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